Il cambiamento climatico modifica le rotte migratorie delle specie ittiche che, spostandosi oltre i confini giurisdizionali, rendono la gestione delle quote di pesca più complessa e ancora più urgente la necessità di accordi internaziona
Uno studio condotto dall’organizzazione non profit Marine Stewardship Council (MSC) e pubblicato sulla rivista Cell Reports Sustainability ha evidenziato che la gestione sostenibile di attività di pesca di specie altamente migratorie come tonno, bonito e pesci vela sarà in particolare difficoltà a causa degli effetti del cambiamento climatico sulle rotte migratorie dei pesci.
Con il cambiamento delle temperature degli oceani, le specie migratorie cambiano le loro rotte a favore di acque più fresche. Ad esempio, il tonno rosso dell'Atlantico è tornato nelle acque del Regno Unito dopo essere scomparso decenni fa. Nel Pacifico, ci sono segnali crescenti che il tonno si sta spostando dall'ovest della regione verso est. Questo significa che essi entrano in aree governate da Paesi e normative diversi, aumentando così il rischio di disaccordo sulle quote di pesca e di pesca eccessiva.
La ricerca ha analizzato i possibili rischi legati agli impatti del cambiamento climatico in uno scenario caratterizzato da alte emissioni di gas serra entro il 2050. Gli impatti sono stati studiati su oltre 500 attività di pesca certificate MSC in tutto il mondo che impiegano diversi tipi di attrezzi e pescano 19 diverse categorie di prodotti ittici, dai krill alle aragoste, dai pesci bianchi ai tonni. Le attività di pesca certificate dispongono di solidi piani di gestione e hanno soddisfatto rigorosi requisiti in materia di sostenibilità e gestione responsabile, risultando così potenzialmente più resilienti agli impatti del cambiamento climatico.
L’analisi ha rilevato che, rispetto a specie sedentarie o bentoniche come bivalvi, granchi e gamberi, le attività di pesca di specie altamente migratorie, come il tonno, sono soggette ad ulteriori rischi legati agli accordi internazionali sulle quote di pesca. A seguire, risultano più vulnerabili ai rischi di gestione legati al cambiamento climatico le attività di pesca dei piccoli pelagici, come sgombri, aringhe e merluzzi azzurri, seguite da quelle rivolte ai pesci bianchi, come merluzzi, eglefini, sogliole, platesse e rane pescatrici.
Lauren Koerner, autrice principale dello studio e Data Science Manager di MSC, ha dichiarato: “Gli effetti del cambiamento climatico stanno inducendo tutte le specie a modificare il proprio comportamento. I pesci si spostano in nuove aree e, di conseguenza, gli accordi esistenti tra i Paesi diventano rapidamente obsoleti, perché gli stock si sono spostati. Abbiamo visto attività di pesca adattarsi per rimanere sostenibili, ma è sempre più difficile farlo senza il supporto di organizzazioni di gestione della pesca capaci di rispondere alle sfide poste dal cambiamento climatico.”
In vista della COP30, la conferenza ONU sul clima di novembre, MSC invita i governi a rafforzare la collaborazione nella gestione degli stock ittici, per assicurare una cooperazione transfrontaliera che protegga le specie dal declino.

